
Nuova edizione commentata con testo latino a fronte a cura di Enrico Carnevale Schianca, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2015.
Il testo di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che oggi presentiamo è il testo chiave del Rinascimento gastronomico italiano.
Bartolomeo Sacchi, umanista italiano, nato a Piadena nel 1420 o 1421, detto il Platina dal nome latinizzato del luogo di nascita. Secondo la moda dei tempi di latinizzare tutto, Pladena era diventata Platina. «Le condizioni di povertà della famiglia», come scrive Enrico Carnevale nelle note bibliografiche sull’autore, «probabilmente concorsero nella scelta di Bartolomeo di intraprendere il mestiere di soldato, e dal 1440 al 1444 militò come fante leggero sotto le bandiere di Francesco Sforza e di Niccolò Piccinino».
La parentesi militare sembra essersi chiusa nel 1444, dopo di che, per un intero lustro, non si sa nulla dell’intraprendente cremonese, finché non si ritrova, sul finire del 1449, a Mantova, ospite della “Casa Giocosa”, il «primo esempio di ginnasio moderno in Italia».
Con minuzia e accurata ricerca storica e bibliografica Enrico Carnevale traccia nell’Introduzione le vicende umane di Bartolomeo Sacci ‘il Platina’.
Chiamato dal marchese di Mantova, Ludovico, quale processore dei suoi figli «Maistro Bartolomeo da Piadina, el qual più anni passati havemo tenuto qui in casa nostra per insegnare lettere a’ nostri figlioli», ebbe tra i suoi allievi anche il giovane Francesco Gonzaga, nominato cardinale da papa Pio II Piccolomini il 18 dicembre 1461 e che ritroveremo celebrato dal Mantegna nella maggiore pittura civile dell’Italia rinascimentale, la Camera degli Sposi in Castello.
Nel 1457 passò a Firenze dove divenne familiare dei de’ Medici. Da qui nel 1461 o 1462 si trasferì a Roma, non abbiamo notizie certe se seguisse il cardinal Gonzaga di passaggio a Firenze per recarsi a Roma. L’Archivio Gonzaga, in questo caso, non ci aiuta, in nessuna delle lettere spedite dal cardinale o dai suoi familiari durante il suo passaggio per Firenze, in occasione della sua prima andata a Roma, si menziona il Platina e neppure si trova notizia del suo trasferimento a Roma nella sua Vita di Pio II.
A Roma ottenne l’ufficio di abbreviatore presso la curia pontificia e dedicò al pontefice umanista il suo trattato De laudibus bonarum artium.
Temperamento ribelle e anticonformista, entrò in contrasto con papa Paolo II, che lo imprigionò due volte.
Giacomo d’Arezzo, auditore del cardinale Gonzaga scriveva: «A tutti incresce questo caso perché è valente homo in Littere: massime al Reverendissimo monsignore nostro perché è stato antiquo servitore de la casa». Sempre Giacomo ricordava che il cardinale, parlando al pontefice , «lo excusava facendo fede che era matto, et questo eccesso chiaramente el demonstrava».
Il Platina uscì di prigione nel gennaio 1465 grazie ai buoni uffici del Cardinale Francesco Gonzaga. «Trovando lo Reverendissimo monsignore nostro», scriveva l’Arrivabene a Barbara di Brandeburgo il 21 gennaio 1465«a questi dì passati, la Santità de nostro signore ioconda et ben disposta, domandò di granita la liberazione de Bartolomeo da Piatina et ottenne. In quella hora fu tratto de castello et sta in casa, che non fu piccola gratia».
Sotto il pontificato di Sisto IV divenne Bibliotecario della Biblioteca vaticana. In quel periodo si dedicò alla stesura del Liber de vita Christi et omnium pontificum iniziata nel 1472 su commissione del pontefice stesso.
Ho introdotto questo mio intervento affermando che il testo chiave del rinascimento gastronomico è l’opera del Platina che oggi presentiamo, ma la rinascenza della cucina europea, come sappiamo, era iniziata ad Avignone.
Avignone era la nuova residenza della corte pontificia, centro vitale dei commerci europei, legame tra l’Europa e i mussulmani di Cordova e di Granada, dai quali accolse buon suggerimento, specie nel campo della medicina e dell’alimentazione, in quel tempo così strettamente congiunte.
Come ad esempio quelli del «Regimen satinatis» di Armand de Villeneuve, uno spagnolo, istruitosi poi a Napoli, dotto in alchimia e astrologia, che esercitò la professione di medico in Avignone come cerusico di papa Clemente V.
Le sue massime ricordano molto quelle della Scuola Salernitana.
Entrò anche in qualche dettaglio culinario: i ceci, i piselli, le fave, le lenticchie fresche consiglia di bollirli in brodo di carne, con latte di mandorle, zucchero fino e zafferano; se sono secchi consiglia invece di servirli bolliti e passati all’olio d’oliva con soffritto di cipolla. Da consumarsi come piatto di mezzo. Oppure come primo piatto, qualora si abbia l’avvertenza di ridurli in purè, che altrimenti chiuderebbero il ventricolo. Consiglia anche due tipi di salsa aspretta, una per l’estate, a base di succo d’uva acerba, di pampini di vite, di limoni, di melograni, con zucchero, acqua di rose e aceto; ed una per l’inverno a base di vino, aceto, sugo di carne con mostarda, ruchetta, prezzemolo, zenzero, aglio, salvia, menta pepe, cannella e garofano.
Proclama la maggior digeribilità dei bolliti sui fritti e sugli arrosti. Consiglia le carni di montone, vitello e capretto e una marinatura estiva a base d’aceto, zenzero e prezzemolo, senza aglio. Il quale aglio viene, invece, aggiunto nella stagione invernale, all’aceto si sostituirà un buon vino, aumentando il quantitativo di spezie.
«Se ti sei addormentato tra i fumi di una sbornia, al mattino torna a bere un bicchierozzo, ti sentirai meglio».
Quasi nello stesso periodo e nella stessa zona appare un altro libro di medicina e dietetica, redatto da un certo «maistre Aldebrandin de Florence, medicin du Roy de France», destinato alla salute del corpo e per salvaguardare tutte le parti di esso. Vi si parla in molti capitoli di cibi e di bevande. Nel capitolo delle bevande mette il lettore in guardia circa l’uso dell’acqua: «Non è bene bere a digiuno, o quando si sia stanchi. L’acqua tiepida stimola il vomito e smorza l’appetito. Troppo calda fa male allo stomaco».
Consiglia il vino durante ogni pasto, ma a piccoli e frequenti quantitativi. Avverte tuttavia Aldobrandino: «Si guardi dal bere chi ha poco cervello…».
Sul soglio di Avignone, a Clemente V successe Giovanni XXII, che ebbe una corte «meravigliosamente bella, nobile e magnificentissima, resa illustre da un gran numero di cardinali, delle più prestigiose e distinte casate».
Il mecenatismo dei cardinali rivaleggia con quello dei pontefici: si erigono e si arredano palazzi e ville stupendi e li si aprono all’ospitalità in sontuosi banchetti.
Durante la guerra dei cent’anni, alla corte della regina Jeanne d’Evreux, prima, e, poi, di Filippo VI di Valois e di Carlo V il Saggio troviamo un personaggio particolare Guillaume Tirel, chiamato «Taillevent», tagliavento, per via, pare, di un gran naso, dotato di un finissimo olfatto nel cogliere odori e quindi i corrispondenti sapori. «Queu» e poi sergente d’armi, Taillevent scrisse il primo libro di cucina apparso in Francia. Il volume del cuoco reale ebbe un titolo significativo «Viandier» che non stava ad indicare l’arte di ammainare le carni (viande), ma quella più complessa di dilettare la vita con il cibo. «Viandier» deriva infatti da «vie» (vita).
Il manoscritto più antico del «Viandier» risulta essere quello esistente presso la Biblioteca Vaticana.
Inizia con un capitolo sulle salse, che divide in salse non bollite e in salse bollite, ingredienti, oltre le droghe d’obbligo, della mollica di pane, del vino, del «verjus» (traducibile in «succo verde” ottenuto dallo spremimento dell’uva acerba, impiegato anticamente in luogo del succo di limone), moltissime erbe aromatiche.
Tra i vari consigli pratici primeggia, per meticolosa spiegazione, quello di «dissalare» i cibi troppo saporiti.
Tra i «potages» vediamo zuppe di fave, di piselli, ma tutto con accompagnamento di carni, o di porco, o di pollo, con mandorle, con vino e cannella, con cipolle e droghe, sempre droghe, tutte le droghe insieme. «Potage» non stava quindi solo per «zuppa», ma comunque per qualcosa che fosse accompagnato da una abbondante salsa o da brodi sostanziosissimi.
Il capitolo su «les rostz», che propone arrosti specialmente di maiale con qualche considerazione anche per quelli di montone, di agnello, di capriolo e di vitello, fornisce qualche ricetta particolarmente invitante, come quella del «porchettino farcito», che possiamo ritenere come ancora gradita al nostro gusto, come lo sono l’oca arrosto e lo spiedo di uccellini alternati a fettine di lardo e a pezzetti di salsiccia.
Nel capitolo riservato ai pesci assistiamo alla nascita di un autentico «fumetto», vedendo dei gamberetti lodevolmente bolliti in acqua e vino. Anguille, lucci, storioni, merluzzi e salmoni vengono ammaniti in modi ormai tradizionali, arrostiti, bolliti, fritti o in brodetto, con salse più o meno verdi, più o meno drogate, e in gelatina. Sconcertanti certe torte di quaresima con pesci sminuzzati conditi con zafferano e zucchero.
Grande rispetto merita un breve capitolo sulla cucina per i malati, a base di brodini e creme nutrientissimi, ottenuti con la riduzione a puré mediante setaccio di carni di cappone, mandorle, latte, orzo, tuorli d’uova e vino bianco aromatizzato a volte con chicchi di melograno e addolcito con lo zucchero.
Assenti quasi del tutto le droghe, dal che si deduce che, pur amandole, le ritenevano indigeste.
Ed ecco di quali spezie doveva essere rifornita una dispensa rispettabile; zenzero, cannella, garofano, pepe rotondo, fior di cannella, ringal (non identificabile), grani di paradiso, pepe lungo, zafferano, noce moscata, alloro, mastica, lores (non identificabile), commino, zucchero, mandorle, cipolle, aglio, erba cipollina e scalogno.
La religione, saggia, non disdegnò mai la buona cucina e in essa trovò occasioni di onesta voluttà nell’assaporare i cibi, e di umiltà nel prepararli.
San Tommaso d’Aquino, un po’ per disposizione, ma un po’ anche per golosità, aveva raggiunto una mole considerevole ed era chiamato «il bue divino» non solo per ragioni intellettuali e morali. Il suo ventre aveva una dimensione tale che richiedeva un’apposita rientranza nel tavolo al suo posto del refettorio. Si racconta che un giorno San Tommaso fu invitato a colazione da re Luigi il Santo, ed era, il filosofo cristiano, talmente assorto nei suoi pensieri angelici, che, senza dir parola, distrattamente, divorò dinanzi agli occhi dei commensali stupefatti un gran pesce che doveva servire per l’intera tavolata. Arrivato alla lisca, si accorse dei presenti e con espressione pudibonda, quasi a chiedere perdono e a ratificare la situazione, esclamò: «Consummatum est!». Nel 1439 il ricco e mondano cardinal Ludovico Trevisan divenne patriarca di Aquileia e l’anno successivo ciambellano papale. Soprannominato «Cardinal Lucullo», per la sua prodigalità nell’allestire banchetti, il prelato aveva un cuoco personale di nome Maestro Martino da Como, che compose per lui un manoscritto: «Liber de arte coquinaria».
Questo ricettario, specchio della gastronomia italiana del tempo, sarebbe rimasto misconosciuto se nel 1474, il Platina non lo avesse utilizzato, come ben ricorda Carnevale, per la sua opera De onesta voluptate et valetudine, traducendolo nel suo latino umanistico.
L’opera del Platina è divisa in dieci libri: i primi descrivono la natura degli alimenti, gli altri possono, riduttivamente, essere considerati un ricettario.
Vediamo come Bartolomeo Sacchi strutturi la sua opera:
Libro primo: Il luogo da scegliere per viverci – L’attività fisica – la cena – il gioco e lo svago – il sonno – come si deve riposare – il coito – che cosa bisogna fare appena alzati – l’attività fisica dopo il sonno – quali regole vanno osservate per vivere piacevolmente – il cuocio – l’apparecchio della tavola – il sale – il pane- le focacce – quali cibi vanno mangiati prima degli altri – le ciliegie – le prugne – le more – i poponi – i cetrioli – le albicocche – i fichi.
Libro secondo: le mele – le pere – l’uva – le cotogne – il cedro – i datterei – la nespola – le sorbe – le corniole – la pesca – l’olio – il miele- lo zucchero – il latte – il formaggio – la ricotta – l’uovo – il burro – le carni salate – lo strutto – l’omento – la pancetta – l’aceto – l’agresta.
Libro terzo: le noci – le mandorle – la nocciola – i pinoli – le castagne – le carrube – i pistacchiu – il pepe – il garofano – il cinnamomo – lo zenzero – la noce moscata – lo zafferano – le piante acri e per primo l’aglio – le cipolle – i bulbi – il porro – il finocchio – il cumino – l’anice – il papavero – il coriandolo – la menta – il sedano – il serpillo – il puleggia – i cardi – la salvia – il basilico – la ruta – la rucola – il crescione degli orari – la santoreggia – la nepitella – l’aneto – il timo – l’origano – il cerfoglio – la maggiorana – l’emula – il sisimbrio – il marchio – l’abrotano – l’issopo – il prezzemolo – l’assenzio. Libro quarto: le lattughe in insalata – come condire l’indivia – come condire la buglossa – l’insalata di messicana – come condire la portulaca – come condire il rosmarino – come condire la malva – come condire la cicoria – come condire la sassifraga – come condire la pimpinella – come condire l’acetosa -gli asparagi in insalata – come condire i luppoli – come condire i capponerei – la carota e la pastinaca – come condire le cipolle – come condire il porro – piatto di teste e rigaglie di capponi e galline – piatto di lingue o di salsicce -. le diversità delle carni e quali si debbano cucinare secondo
le stagioni – il bue – il bue, l’agnello e il castrato – la capra e il capretto – il cervo – gli orsi – i daini – le lepri e i conigli – l’istrice e il riccio.
Libro quinto: volatili commestibili, e per primo il pavone – l’oca e l’anatra – la gru – le cicogne – i cigni – la rondine – i merli e i tordi – gli storni – la tortora – le galline – i piccioni – i beccafichi e il passero – la quaglia – le pernici – quale differenza vi sia fra le parti degli animali.
Libro sesto: come si cucinano i volatili domestici e i selvatici – il lesso – l’arrosto – peverata di selvaggina – brodo lardiero – civiere di selvaggina – pastello di selvaggina – pastello di carni domestiche – crostata di carni domestiche – soffritto di qualsivoglia carne – pastello in pentola – miraus catalano – come un pavone cucinato possa sembrare vivo – maialino arrosto – pollo con l’agresto – pollo arrosto – polpetta di vitello – polpetta “romana” – farcia di carne – farcia di fegato – salsicce – luganighe – gelatina in piattello – capretto all’0aglio – pietanza alla brace – fegatelli – carne salata a modo di braciola – come preparare il tordo – testina di vitello – cervello di vitello – come preparare i beccafichi – piatto catalano – strutto – stomaco di vitello – prosciutto – sommata e lingua – pastello di pollame – piccione disossato – di un solo piccione se ne fanno due – biancomangiare – biancomangiare catalano – brodetto giallo – brodo consumato – brodetto bianco – brodetto verde – vivanda volgarmente chiamata “zanzarelle” – vivanda verde – vivanda in pallottole – vivanda bianca. Libro settimo:l’orzo – il farro – l’amido – la semola – l’amica – il riso – il panico – il miglio – la fava – il cece – la cicerchia – il pisello – il fagiolo – la lenticchia – la veccia e l’ervo – il lupino – la canapa – il sambuco – la zucca -l’atriplice – la rapa – i navoni – l’amaranto e la bietola – il cavolo – farro in brodo – riso in qualsiasi brodo – piatto di miglio – minestra di partito – brodetto che chiamano verzuso – polenta di fave con fave rotte – fave in padella – minestra di piselli – minestra di carne – minestra di trippe – minestra di trippe di trota – l’ora di trota conciate in modo che sembrino piselli – minestra di lattuga – minestra di mele rosa – la semola – piatto di rape – piatto di finocchi – pasta romanesca -. pasta fomentino – minestra di radici di prezzemolo – zucca fritta – minestra di cotogne – fave farcite – minestra di canapa – pasta con carne – pasta siciliana – vermicelli – minuto di erbe – riso con le mandorle – pietanza di mandorle – minestra di pelle di capponi – brodo di ceci rossi – brodo di pane – brodo di zucche – latte con le zucche – carabaza catalana – brodo di fave fresche – verzuso in tempo di quaresima – biancomangiare in tempo di quaresima – piselli in tempo di quaresima – minuto – minuto – la canapa – cavolo all romanesca – minestra gialla – fiore di sambuco – zanzarelle bianche – biancomangiare catalano.
Libro ottavo: i condimenti volgarmente detti ‘sapori’ – condimento bianco – condimento camellino – pesto che si chiama ‘salsa di pavo’ – sughero di prugne secche – pesto verde – pesto periscono – pesto ginestrino – pesto di uva – pesto di more – pesto di ciliegie o di amarene – la senape – moistarda – mostarda rossa – mostarda a bocconi – pesto celeste d’estate – peverata gialla per pesci – agliata con n coi o con mandorle – tagliata colorata – agresto verde – pesto di pampini che si chiama ‘salsa’ – agresto con finocchi – sapore rosolino – pesto di corniole – la pietanza in forma di torta – torta bianca – torta bolognese – errata di maggio – torta di zucca – rape, pere e cotogne in torta – polenta ossia volgarmente migliaccio – torta di sambuco – torta di caprèoli – torta di riso – torta di farro – torta di carne – torta di castagne – torta comune – torta di miglio – torta di amarene – torta quaresimale di gamberi – torta di anguille – torta di datteri – torta bianca – torta di ceci rossi -. torta mista – torta in brodo – torta che chiamano ‘marzapane’ – pasticci che chiamano ‘caliscioni’ – ofella – torta d’anguilla – pescare in pastello – cotogne in pastello – pasta di mandorle quaresimale – ricotta contraffatta – burro contraffatto – zuppa di canapa – diriola – diriola di magro – formaggio fritto – rapa armata – zuppa dorata.
Libro nono: i bocconcini che si possono chiamare anche frittelle – frittelle di sambuco – frittelle con bianchi d’uova fior di farina e formaggio fresco – frittelle in latte cagliato – frittelle di riso – frittelle di salvia – frittelle di mele – frittelle di lauro – frittelle con le mandorle – frittelle di sambuco quaresimali – frittelle amare – frittelle di riso – frittelle di mele – frittelle di fichi – frittelle di pesce – frittelle a forma di pesce – frittelle ventose – pastinache fritte – uova in ogni i maniera, a cominciare da quelle strapazzate e dibattute – uova affrittellate – uova lessate – uova farcite – uova alla graticola – uova allo spiedo – uova fritte alla maniera fiorentina – uova farcite – uova in forma di pastello – boleti e funghi . i tartufi – le chiocciole – la testuggine – le rane.
Libro decimo: come cucinare i pesci – il tonno – la triglia – le anguille – la murena – il riccio – la seppia – il calamaro – il polipo – le conchiglie – le aragoste – i granchi – le conchiglie – la porpora e il murice – le ostriche – l’orata – lo storione – lo scaro – il pesce lupo – il siluro – il rombo – lo storione –
la preparazione che chiamano caviale – l’ombrina – il dentice – il valore – il corvo – la sogliola – la palamita – il fratellino – la triglia – la salpa – la scorpena – il cefalo – la passera – i gamberetti di mare – le cappe – il merluzzo – il luccio di fiume – le trote – la tinca – il pesce persico – la lampreda – i barbi – il temolo – il grongo – il leone di mare – le scardole- le carpe – i salmoni – le lasche – i latterini – i rivoglio – l’aguglia – il tordo di mare – gli agoni – le sardelle – il polipo – i granchi – i carpioni – i calamari – pesci in gelatina – bottarghe – che cosa si deve mangiare come dessert – il vino – come controllare i moti d’animo.
Scrive Carnevale Schianca: «Il singolare saggio del Platina – lavoro inusitato, dimagrimento inusitato o quanto meno trattato in forma inusitata – tra rivolto in realtà a una élite che non aveva niente a che vedere né con la cucina né con la medicina; si trattava di un’«opera letteraria destinata nella sua immediata fruizione ad un pubblico dotto», un testo che «intarsiava fonti antiche e contemporanee rivendicando tanto l’uso del latino per un argomento umile come quello della cucina, quanto la liceità di avvalersi di vocaboli nuovi tradotti in latino dal volgare e insieme l’esigenza di porre i nomi di ingredienti, vivande, farmaci sempre in rapporto con quelli antichi». Ma, considerato il livello culturale dei destinatari, De honesta voluptate costituiva pur sempre un libro di lettura leggero, e non parrebbe esagerato classificarlo come una epitome di Plinio, utile agli spigolatori di curiosità e nozioni da incamerare alla svelta, per poi poterne fare sfoggio nelle conversazioni».
Quali novelli spigolatori di curiosità, eccovene alcune.
L’uso della noce moscata in profumeria (p. 179): Quella noce che i profumieri chiamano ‘moscata’ è calda e secca. Giova al nostro corpo per le sue proprietà e per il suo aroma, acuisce la vista indebolita, seda i conati di vomito, stimola l’appetito riscaldando lo stomaco e il fegato. Tutte queste sostanze che hanno virtù aromatiche, sia integre che macinate, di per sé sole o ad altre mescolate, si prestano egregiamente agli impieghi alimentari».
Le piante acri e per primo l’alio (181): Con l’aglio si preparano molti cibi, ma specialmente la salsa
verde e l’agliata, che in città si consumano raramente, ma in campagna molto spesso.
L’anice è afrodisiaco (189).
La menta (191), che entra in molte ricette, ad es. Brodo di fave fresche (321); mentre suggerisce le superstizioni nate attorno al basilico, considerato nocivo e fonte di molte negatività, per poi concludere: Tutte queste cose sono però sconfessate dall’esperienza»(p. 195)
Le lattughe (211)
L’insalata di mesticanza (213)
Come condire la portulaca (213)
Insalata di fiori di rosmarino (213 – 215)
Gli asparagi li presenta in insalata (219)
Tra le carni mi ha incuriosito l’orso (233), già citato da Enea Silvio Piccolomini nel suo De curialium miseriis [ Quando ti sarai ormai saziato di pane e schiena di orso, allora ti vedrai presentare dei cibi migliori], annota il Platina: «la sua carne è difficile da digerire, nuoce alla milza e al fegato, genera molte superfluità e provoca nei commensali inappetenza e nausea».
Nell’introduzione al libro quinto nel capitolo Volatili commestibili emerge tutta la cultura umanistica del nostro autore: «…Cipolla ed aglio mangi assieme a me Pomponio, e ci siano anche Sereno e Settimuleio Campano; né Cosmico passi la notte fuori dalla sala da pranzo, e lo seguano Partenio ed il podagroso Scauro. Non respingo neanche Fabio Narniense, Antpnio Ruffo, Glafio e Tacito, che per loro propria scelta hanno abbracciato la povertà. E perché Cincinnato non si offenda, che Demetrio inviti anche lui a questa cena vegetariana, se così piace al destino, che – come sentenzia il Tragico – ha in odio i valorosi e giusti, e dispensa invece i suoi favori ai malvagi ed agli inetti» (237 -9).
Le galline sono oggetto di un lungo paragrafo (245 – 247)
Interessante nel capitolo su I beccafichi e il passero (249) il riferimento al cardinal Francesco Gonzaga: «Per nessuna ragione mangerei cardellini; essi infatti dispensano piaceri più con la voce che sulla tavola; obbediscono poi agli ordini, ed usano zampe e becco come fossero mani, come
quello che, nella camera del cardinale di santa Romana Ciesa Francesco Gonzaga, possiamo ammirare, con diletto pari a stupore, mentre tira verso di sé con una funicella due vaschette in equilibrio, contenenti il becchime e l’acqua. In sua vece, si consiglia di mangiare l’allodola, che per le polpe e per la succosità è tutt’altro che spregevole».
Alcuni riferimenti alla carne del fagiano (251) da imbandirsi sulle tavole regali e signorili…
Nel primo passo del libro sesto in cui tratta di come cuocere le carni (259) ci lascia, parlando di come cuocere la carne suina, un’annotazione “gustosa”: c’è chi cuoce le cipolle nel grasso sfrigolante della leccarda, e poi se le mangia».
Seguono alcuni consigli sul lesso (259), sull’arrosto (261), sulla peverata (263).
Curioso per noi il «brodo lardiero» (261 – 263), in questa ricetta compare un particolare interessante la “carne sminuzzata” ricordo del portare il cibo alla bocca con le mani? (263).
Così ancora: il pastello di selvaggina (263), il soffritto di qualsivoglia carne (265).
Quello che colpisce e accende la fantasia di molti, ancora oggi, “Come un pavone cucinato possa sembrare vivo” (/267).
E poi tra le ricette che mi sono annotato: “da provare: Pollo con l’agresto (269) e Polpetta di vitello (269).
Il Pastello di pollame (279), che mi ricorda un po’ la finanziera, che faceva mia nonna, al posto delle ciliegie agre, metteva la giardiniera [verdura cotta nell’aceto].
Nella ricetta del Biancomangiare (281) la citazione della sua fonte primaria: Quale cuoco – dèi immortali – potrai mai paragonare al mio Martino da Como, dal quale ho appreso in gran parte ciò di cui sto scrivendo? Lo diresti un secondo Carneade, se tu lo sentissi improvvisare sui due piedi dissertazioni su argomenti postigli al momento. (281).
Seguono altre curiosità: Brodo consumato (281 – 283) e poi le «Zanzarelle» (283).
Nel libro settimo, dopo aver passato in rassegna vari cereali e legumi si sofferma sulle lenticchie e ne dice tutti il negativo (295-7).
E siccome la fame era una brutta compagna, troviamo anche l’uso dei semi di canapa brillati (297 – 299).
Alle credenze popolari e alle superstizioni, che tanto Carlo Borromeo, un secolo dopo combatterà, troviamo a proposito delle rape richiamando quanto scrive il Columella: Dobbiamo stare attenti, nel raccogliere le rape, che non vi siano attaccati certi bruchi nocivi chiamati urucae, che i Greci chiamano kompàs. Columella dice che possono essere uccisi da una donna mestruato che, a piedi nudi e coi capelli sciolti, giri tre volte intorno a ciascun appezzamento dell’orto».
E parlandoci del cavolo (303) ricorda : «Tramanda lo stresso Catone che il popolo Romano, per quasi seicento anni, si è avvalso delle virtù terapeutiche del cavolo; infatti non erano ancora arrivati in città i medici, che avrebbero più tardi ridotto le capacità di guarire ad un’arte astrusa; allora si è fatta la scoperta degli intrugli medicinali, ai prezzi che i medici stessi stabilivano. Quegli antichi contadini e soldati, al contrario, medicavano le proprie onorevoli ferite con erbe che non costavano nulla, e coltivavano così gli orti per nutrirsi e insieme per curarsi».
Altre ricette fattibili: Farro in brodo (305 – 307), Minestra di Pantrito (307), la minestra di trippe (309), un po’ più scettico sulla Minestra di trippe di trota (309), fattibile la Minestra di lattuga (311), il Piatto di rape (311), la Zucca fritta (313). Curiosa la Minestra di canapa (313- 15). Simile ai nostri ravioli la Pasta con carne (315). Al risparmio e perché nulla in cucina va buttato o sprecato in cucina la Minestra di pelle di capponi (317). Buono deve essere il cavolo alla Romanesca (323). Tra i sapori o salse, ricordate nel libro ottavo, citeremo il Condimento camellino (329), il Pesto che si chiama ‘Salsa di pavo’, poi i vari Pesti (331), senza basilico, come siamo abituati oggi…
E giungiamo ad una salsa ancora oggi servita nella zona di Tortona e nel Monferrato: Agliata con noci o con mandorle (335).
Cosa che non mi sarei mai aspettata: Pesto di pampini che si chiama Salsa (337) sostituivo dell’agresto e del nostro linone.
Mentre il Pesto di Corniole (337) richiama la Salsa di corniole ancora oggi inserita tra le ricette della cucina della Provincia di Varese.
Platina ci dà poi la definizione di cosa si intenda per torta: Pietanza in forma di torta (339)
Polenta ossia volgarmente migliaccio (341), che richiama la polenta bigia del Manzoni e che l’Autore, autorevolmente, spiega nel suo glossario posto in appendice cosa si debba intendere per polenta (469- 470).
Tra le torte potremmo ricordare quella di sambuco (343), la torta di castagne (345), quella di amarene (347), il Marzapane (351), l’Offella (353). Poi la zuppa di canapa (355) e, un po’ il Frico friulano il Formaggio fritto (357) e da provare la Rapa armata (357).
Le frittelle o bocconcini formano l’oggetto del nono libro (359), tra queste quelle di sambuco (361), di salvia (363) e quelle di mele e di fichi (365), le Uova affratellate (367), e le Uova allo spiedo (369) che Platina sostiene: MI sembra una trovata balorda, uno dei tanti divertimenti insulsi dei cuochi.
Tra le curiosità: Boleti e funghi (371 – 373) e i Tartufi (375), le chiocciole, le testuggine (377), le rane (379).
Il libro decimo tratta di Come cucinare i pesci (381) e non posso non rivelare stupore nell’aver letto che «i tonni vivono nei fiumi, come il Nilo, il Reno e il Po» da una errata interpretazione di Plinio, come annota Carnevale: «A vivere nel Nilo, nel Reno e nel Po – secondo Plinio – non sono i tonni, bensì rispettivamente il siluro, l’esce e l’attilo».
Mi ha incuriosito il capitolo sulle ostriche: «Il discorso sui molluschi a conchiglia silicea si chiude infine con le ostriche, che, per la loro reputazione afrodisiaca, sono molto apprezzate dai ricchi e dai dissoluti. Quel Sergio che, per avere catturato e introdotto nei nostri mari l’orata, ne trasse il soprannome, di tutti antesignano, al tempo dell’oratore Lucio Licinio Crasso, prima della guerra marsica, invento i vivai di ostriche, per ragioni non tanto di golosità, quanto di avidità di guadagno. E con tale avvio, le rendite ed i privati introiti derivanti dalle peschiere presero ad aumentare (interessandosi di tale attività anche personaggi in vista, quali Lucio Marcio Filippo e Quinto Ortensio Ortalo, che Cicerone usava chiamare ‘allevatori di pesci’), al punto che – come scrivono gli storici – Catone Uticense, erede di Lucio Licinio Lucullo, vendette per quattrocentomila sesterzi dai suoi vivai. E quello stesso Orata che per primo possedette vasche pensili, fu anche il primo a sistemare vivai di ostriche in quel di Baia, perché i fondali limacciosi che nutrono sogliole e passere sono adatti ad ospitare anche conchiglie, murici ed ostriche. Ancora: Orata fu il primo ad attribuire la palma della bontà alle ostriche del lago Lucrino. Le ostriche, cotte prima sulle braci e poi tolte dal testo, si possono friggere nell’olio e cospargere di spezie ed agresto » (399 – 401)
I tre capitoli finali del decimo libro richiamano un po’ quanto trattato nel primo libro: che cosa si deve mangiare come dessert – il vino – come controllare i moti d’animo.
Chiudiamo con il dessert: «… se per caso ti sono state sevite delle carni, sia arrostite che lessate, a seconda della stagione mangerai mele o pere, soprattutto di quelle acide, che allontano dalla testa le esalazioni di quanto già ingerito… Un poco di formaggio ben stagionato si ritiene utile per sigillare lo stomaco ed impedire che le esalazioni raggiungano la testa e il cervello; inoltre rimuove efficacemente il senso di nausea derivante dall’aver mangiato cibi troppo untuosi o troppo dolci. A beneficio dell’alito e del cervello, alle tavole raffinate si servono semi d’anice e di coriandolo confettati nello zucchero, mentre i popolani mangiano gambi di finocchio, e tutti indistintamente castagne, di natura fredda e secca, sulle quali sono state espresse varie opinioni. … » (423).